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sexta-feira, 24 de fevereiro de 2023

Le sfide per il Brasile nel nuovo contesto internazionale di tensioni geopolitiche - Paulo Roberto De Almeida

 Mais recente artigo publicado (o original em português encontra-se ao final): 

4324. “Desafios ao Brasil no novo contexto internacional de tensões geopolíticas”, Brasília, 16 fevereiro 2023, 7 p. Respostas a questões colocadas pelo jornalista Artur Ambrogi . Traduzido para o italiano por Ruggero Gambacurta-Scopello em 20/02/2023. Publicado na página de Strumenti Politici (Itália; 24/02/2023; link: https://strumentipolitici.it/le-sfide-per-il-brasile-nel-nuovo-contesto-internazionale-di-tensioni-geopolitiche/). Relação de Publicados n. 1495.

 

Le sfide per il Brasile nel nuovo contesto internazionale di tensioni geopolitiche 

Strumenti Politici, 24 Febbraio 2023

Con la fine del governo Bolsonaro e il ritorno di Lula da Silva alla presidenza della Repubblica del Brasile, il diplomatico e professore universitario Paulo Roberto de Almeida ha concesso un’intervista alla nostra testata per analizzare la politica estera del più grande paese latino-americano.

Infografica - La biografia dell'intervistato Paulo Roberto de Almeida

– In che modo il Brasile ha tradizionalmente definito i propri interessi nazionali nello scenario geopolitico attraverso la diplomazia? E in che modo governi più recenti hanno mantenuto o interrotto questa tradizione?

Il processo di formulazione delle politiche nazionali e di concretizzazione pratica degli interessi nazionali a livello estero – regionale e internazionale – non è diverso in Brasile da quello che si verifica tradizionalmente in altri Paesi che hanno Stati funzionali, dotati di una diplomazia che opera secondo gli schemi abituali delle relazioni internazionali: il punto di partenza è l’élite dominante a livello economico, che in genere definisce le élites dominanti a livello politico, cioè i rappresentanti di questi settori nel governo (Esecutivo e Legislativo, soprattutto), ottenendo un mix di politiche macro e settoriali che non corrispondono necessariamente agli interessi nazionali in senso lato, bensì agli interessi dei gruppi dominanti nella politica nazionale e nello Stato (cioè le istituzioni funzionali dell’apparato governativo).

Nel caso del Brasile, a differenza degli altri Paesi della regione emersi dal colonialismo iberico, esistevano, già prima dell’indipendenza, delle istituzioni che funzionavano correttamente quando la corte portoghese si trasferì a Rio nel 1808, fuggendo la momentanea dominazione napoleonica della metropoli. Tra il 1808 e il 1821 tutte le politiche applicate al grande impero coloniale portoghese furono formulate a Rio de Janeiro, anche se non necessariamente nell’interesse della sua più grande colonia e dei suoi abitanti. Ma la costituzione e il funzionamento di un governo dotato dei ministeri tipici dell’epoca – tra cui la Marina, la Guerra, gli Interni (Giustizia) e gli Affari Esteri -, contribuirono moltissimo a far sì che, al momento della conquista dell’autonomia politica nazionale, nel 1822, il governo brasiliano iniziasse a funzionare con ministri e funzionari che stavano già operando per elevare il Brasile alla categoria di “Regno unito a quello del Portogallo”, avvenuta nel 1815, ai fini della partecipazione del Regno del Portogallo al Congresso di Vienna dello stesso anno.

Il primo cancelliere brasiliano, José Bonifácio de Andrada e Silva, fu, infatti, il primo brasiliano – o suddito portoghese nato in Brasile – in un gabinetto portoghese del governo provvisorio in funzione sotto il comando del principe reggente D. Pedro, figlio del re D. João VI, dall’inizio del 1822. José Bonifácio intraprese una politica estera decisamente incentrata sugli interessi del Brasile, anche se la diplomazia, dal punto di vista funzionale e umano, era piuttosto precaria dopo il ritorno della corte in Portogallo nel 1821. Tuttavia, questa prima politica estera brasiliana si interruppe con la destituzione e l’esilio di José Bonifácio alla fine del 1823. Da quel momento in poi, la politica estera di Pedro sarà in parte condizionata dagli affari di successione portoghesi e dal regime politico dell’ex metropoli, fino all’abdicazione dell’imperatore nel 1831. In questo primo periodo, la politica estera fu in parte dominata dalla Guerra Cisplatina (il futuro Uruguay) e, in larga misura, dalle questioni del traffico e della schiavitù, sotto la forte pressione della potenza dell’epoca, la Gran Bretagna. A partire dalle reggenze (1831-1840), la politica estera fu più americanista che europea e iniziò il reclutamento e la formazione di personale diplomatico, che rappresentava ovviamente l’élite schiavista e latifondista.

Nella Repubblica oligarchica della fine del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, la politica estera e la diplomazia erano dominate dagli interessi delle élites legate al caffè – il Brasile era allora, come lo è tuttora, il più grande produttore di caffè al mondo ed un esportatore quasi monopolistico -, con alcuni rappresentanti degli altri settori agrari e delle poche industrie esistenti. A partire dai processi bismarckiani di modernizzazione – industrializzazione, urbanizzazione, democratizzazione – dalla seconda metà del secolo, gli interessi nazionali, in politica interna ed estera, saranno retti ed espressi da un mix di élites attive nella politica nazionale, così formato: un numero sempre più alto di industriali (di cui molti immigrati), i grandi proprietari terrieri (sempre presenti in tutte le fasi della storia della nazione), i militari (estremamente attivi dalla fine dell’Impero e durante le varie fasi della travagliata Repubblica) e altri settori delle élites (grandi imprenditori, banchieri, l’alta burocrazia dello Stato, tra cui la magistratura, quest’ultima essendo considerata come un’élite aristocratica nel servizio pubblico brasiliano).

Infografica – Mappa delle principali attività economiche del Brasile

Durante questo lungo ciclo di progresso materiale ed educativo a partire dagli anni Trenta, sono questi gli interessi che definiscono il ruolo del Brasile nel sistema mondiale e nella partecipazione alla politica mondiale, e un’unica ideologia guida l’insieme dei settori a livello interno ed estero della governanza brasiliana: l’ideologia dello sviluppo, che significa la costruzione di un’economia di mercato prettamente nazionale (da qui il forte nazionalismo e persino l’introversione delle politiche economiche) e, a livello estero, l’immancabile ricerca di autonomia in politica estera attraverso una burocrazia diplomatica reclutata e formata in modo eccellente in quanto dispone, dal 1946, di un’accademia diplomatica che detiene il monopolio della selezione e della formazione di un personale di alta qualità intellettuale.

Nel periodo recente, queste caratteristiche sono rimaste pressoché intatte, nonostante piccole rotture di orientamento durante i mandati lulopetisti (2003-2016), dovute alle caratteristiche, in una certa misura di parte (di sinistra), di alcuni orientamenti di politica estera, e avendo subito un impatto ancor più considerevole dalla vera e propria rottura introdotta dal governo Bolsonaro (2019-2022), che ha corrisposto al parziale abbandono della ricerca di autonomia in politica estera in cambio di un’associazione mal pensata e poco strutturata con gli Stati Uniti – o più precisamente con il presidente Donald Trump – e di un’inversione di rotta in alcune politiche (quella ambientale, ad esempio), in un completo disallineamento con gli orientamenti generali della diplomazia. Nella fase attuale, in cui il PT (2023-2026) è tornato al potere, gli interessi nazionali e la politica estera continueranno ad avere una posizione centrale, influenzati dall’ideologia di sinistra del presidente Lula, ma in un gioco di contrattazione con le tradizionali élites dominanti (economiche e politiche).

In breve, gli interessi nazionali del Brasile nella sfera estera continueranno ad essere segnati da questa ideologia di sviluppo, dalla ricerca di autonomia nell’economia e nella politica estera, con una partecipazione significativa del suo corpo diplomatico nell’attuazione delle decisioni del governo centrale, ma anche da una grande esitazione nel definire le alleanze estere, che si riflette in un peso relativamente elevato del Paese nell’economia mondiale, ma in una scarsa partecipazione ai processi decisionali a livello globale.

– Qual è l’approccio del Brasile alle questioni di sicurezza e difesa in America Latina e nel mondo? I governi Bolsonaro e Lula hanno qualche somiglianza in questo percorso o le loro visioni ideologiche antagoniste li collocano sempre in campi geopolitici opposti?

Fin dall’inizio di una diplomazia di professione, moderna e consapevole – ai tempi del Barone di Rio Branco, all’inizio del XX secolo – il Brasile ha avuto un approccio alle questioni di sicurezza e di difesa basato sul rispetto del diritto internazionale e, sempre più, sul multilateralismo. L’integrazione con l’America Latina è un fenomeno relativamente recente, soltanto mezzo secolo, e non si è ancora tradotto in istituzioni stabili che convergano con gli interessi nazionali del Brasile. Tuttavia, una posizione che è stata adottata da vari governi dalla fine della Seconda guerra mondiale è quella di deviare le tensioni tra le grandi potenze mondiali, una posizione di equilibrio generalmente allineata con gli interessi del grande partner emisferico, gli Stati Uniti. Più recentemente, la crescente preminenza economica della Cina ha diluito l’influenza degli interessi americani nella politica brasiliana, e la ricerca di una sempre maggiore autonomia rispetto agli Stati Uniti ha condotto i governi del PT a proporre schemi e meccanismi di concertazione e coordinamento regionale che si allontanano dalle vecchie istituzioni emisferiche (l’OSA, ad esempio), a favore della creazione di nuovi strumenti specificatamente regionali (Unasur, Celac), anche nell’ambito della difesa, come il CDS, il Consiglio di Difesa Sudamericano, per la cooperazione strategica e militare con i Paesi sudamericani.

Il governo Bolsonaro ha rappresentato, appunto, una rottura con tutte queste iniziative, abbandonando questa cooperazione in cambio di un’illusoria alleanza con gli Stati Uniti (rappresentati esclusivamente dal presidente Trump), e una fantasmagorica coalizione di Paesi conservatori di estrema destra, che si suppone combattano contro il fantasma del “globalismo” (che in termini diplomatici ha rappresentato l’opposizione agli schemi multilaterali, espressione di estrema stupidità). Il ritorno al potere di un governo del PT consentirà la ripresa delle iniziative del periodo 2003-2016 ma le condizioni stesse dell’America Latina sono molto cambiate, con una visibile frammentazione dei processi di integrazione, oltre al proseguimento dei vecchi schemi di inserimento nell’economia globale (la specializzazione nelle materie prime, ad esempio), che rappresentano una perdita di dinamismo e il persistere della povertà.

FOTO - International Exhibition CenterOsaka, Japan - 28 Giugno 2019
FOTO – International Exhibition Center – Osaka, Japan – 28 Giugno 2019

– Come affrontano attualmente i diplomatici brasiliani le tensioni geopolitiche in ambito economico in questa fase di governo post-Bolsonaro con il ritorno di Lula alla presidenza (BID, OMC, richiesta di adesione all’OCSE, affinità e differenze con i Paesi del Mercosur, Banca BRICS, ecc.)

Vi sono sfide colossali per reinserire il Brasile nel mondo, dopo i governi abbastanza attivi in diplomazia, che sono stati quelli di Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) e di Lula-PT (2003-2016), e portate avanti, con qualche difficoltà, dal governo di Michel Temer (2016-2018), dopo la grande crisi che coinvolse la presidente Dilma Rousseff nel 2014-2015. Non vi è ancora una linea dominante nelle politiche nazionali e nella politica estera, poiché le condizioni per l’azione del Brasile nel mondo sono state alquanto alterate dalla disastrosa presidenza Bolsonaro (soprattutto nel campo delle politiche estere, in particolare quella ambientale), ma anche dalla rottura del governo Trump con la politica globale statunitense. 

L’attuale governo del PT è favorevole alla ripresa dei processi di integrazione regionale, ma in una situazione di dispersione degli sforzi e di orientamenti disparati nei vari Paesi; allo stesso tempo è riluttante per quanto concerne l’adesione all’OCSE, che apparentemente rappresenterebbe un certo abbandono delle politiche economiche nazionali a favore di un maggiore inserimento nella globalizzazione, in contraddizione con l’aspirazione a essere chiamati a svolgere un ruolo più attivo nelle istituzioni multilaterali (G20, CS-ONU) e nel G7. L’iniziativa di creare il BRIC, poi allargato a BRICS (e nuovamente chiamato ad accogliere nuovi membri), potrebbe avere una certa influenza nel determinare la politica estera del Brasile, dato che il gruppo ha come membri le due grandi autocrazie anti-occidentali, Russia e Cina.

– Come si pone il Brasile di Lula di fronte ai segnali di riavvicinamento da parte di nazioni centro-occidentali come gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea?

Questo processo era già in corso in precedenza, dal momento che il Brasile aveva “relazioni strategiche” con tutti questi partner, compresa la Cina, ma è diventato estremamente dipendente dai percorsi della nuova geopolitica dall’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che dovrebbe avere un impatto sulla politica di “equilibrio” del Brasile nella sua relazione alle grandi potenze. 

È ancora relativamente presto per prevedere come agirà la diplomazia brasiliana di fronte alle crescenti tensioni create dall’aggressività di Putin e anche dalla nuova assertività internazionale del leader cinese Xi Jinping, in special modo per quanto concerne Taiwan, ma anche nel campo della disputa egemonica con gli Stati Uniti, una sorta di nuova guerra fredda economica e tecnologica.

– In che modo la nuova diplomazia brasiliana tende ad affrontare questioni diplomatiche complesse, come la questione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in tempi di tensioni belliche, così come le relazioni con sistemi politici ed economici così diversi dal proprio che cercano un avvicinamento al Brasile sotto il discorso dell’avvento di un nuovo ordine internazionale multipolare?

In qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Brasile continuerà con la sua tradizionale richiesta di riforma della Carta delle Nazioni Unite e di allargamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma con scarse possibilità di avanzare su questo tema, date le tensioni attualmente esistenti. 

Anche la richiesta di un “nuovo ordine internazionale multilaterale” non è realistica, poiché non sarà consolidata dalla retorica dei principali partner, ma solo da cambiamenti sostanziali nei principali vettori di proiezione del potere, che sono sempre le capacità economiche e militari, una combinazione di hard e soft power, e meccanismi di influenza sull’agenda globale attraverso la diplomazia sorretta da grandi leve di cooperazione che possono essere sostenute solo da risorse abbondanti. 

Il Brasile manca di molti di questi attributi, sebbene abbia una diplomazia di buona qualità e un’elevata capacità di azione; ma i grandi problemi interni – aumento della povertà, estrema disuguaglianza nella distribuzione, bassa produttività e scarsa capacità di innovazione tecnologica – rendono difficile per il Paese agire in modo più assertivo nel teatro globale.

Gli eventuali profitti del Brasile negli scenari regionali e globali saranno incrementali e piuttosto lenti, poiché le sfide interne (economiche, sociali e anche politiche, data l’attuale mancanza di coesione tra le élites) sono molto più grandi delle ampie opportunità estere, basate sul potere del suo agroalimentare e sul suo piccolo soft power, più simbolico che effettivo (tranne che in campo ambientale).

– La diplomazia brasiliana tende a salvare una politica statale in relazione alle questioni del commercio estero e degli investimenti internazionali, compresa la difesa dei suoi interessi economici strategici nei prossimi anni?

Certamente, come è sempre stato fatto, anche se con cambiamenti di stile e di priorità, a seconda delle preferenze dei governi. Il terzo mandato di Lula dovrebbe perseguire queste politiche statali, ma i vecchi schemi nazionalisti e interventisti rallenteranno il processo di crescita, più di quanto avverrebbe, ad esempio, attraverso una decisa adesione ad una “agenda OCSE” di politiche economiche e settoriali che il PT apparentemente rifiuta. 

Allo stesso modo, la ripresa di un’eventuale “leadership” del Brasile nei processi di integrazione dell’America meridionale e latina dipenderà dal suo potere economico e dalla sua propensione ad un’apertura unilaterale a favore dei Paesi della regione, anch’essa improbabile. Insomma, i progressi saranno lenti e intervallati da decisioni contraddittorie, anche a causa delle incertezze che minacciano le relazioni internazionali in un momento in cui la disputa tra il cosiddetto Occidente e le due grandi autocrazie si fa più intensa.

– Il Brasile ha già agito più volte con le Nazione unite per promuovere la pace e la stabilità internazionale, tra cui la protezione dei rifugiati e la partecipazione militare e diplomatica alle missioni di pace e alla negoziazione dei conflitti. Negli ultimi anni, il ha ancora superato del tutto una crisi istituzionale interna, che si è consumata tra attori delle forze armate e autorità civili, culminata nell’invasione e depredazione della sede dei tre rami del governo l’8 gennaio 2023. È certo che il Brasile debba tornare protagonista o è ancora troppo presto per prospettare uno scenario del genere?

 La più grande recessione nella storia economica del Paese, nel 2015-2016, ha lasciato in eredità una sfida enorme per il recupero dell’equilibrio fiscale del Paese, così come la demolizione di molte politiche settoriali durante la disastrosa amministrazione del 2019-2022 di Bolsonaro ha indebolito la capacità del Brasile di agire in modo costruttivo in tutti questi settori, a partire dal fatto che ha enormi debiti con gli organismi multilaterali. Il Brasile riprenderà il suo ruolo di “player” in alcuni ambiti – sicuramente il multilateralismo ambientale – ma faticherà a riconquistare un ruolo di primo piano nella sua regione, considerando le deboli fondamenta dei suoi conti pubblici. 

D’altra parte, la probabile affermazione di una “diplomazia presidenziale” più attiva creerà difficoltà anche alla diplomazia di professione, vista l’impulsività del Presidente ed i suoi errori di valutazione su alcune questioni (come la sciagurata idea di un “club della pace” per affrontare la guerra in Ucraina, ad esempio). Lula tende ad agire più alla ricerca di una maggiore promozione personale che in funzione degli interessi permanenti del Brasile sulla scena globale. Si tratta di un metodo d’azione contraddittorio, in quanto dipendente dalla sua ricerca di prestigio internazionale e fuorviato da alcune ossessioni del vecchio PT di sinistra, antiliberale e antiamericano.

Lo scenario interno è ancora poco chiaro, anche per la sfiducia reciproca tra i militari e l’attuale governo, oltre che per i timori dei cosiddetti “mercati” nei confronti di una politica economica populista – al servizio delle tradizionali clientele del PT, dei poveri, dei sindacati, delle minoranze – che potrebbe danneggiare l’equilibrio dei conti pubblici nei prossimi anni. Quello che sembra certo è che l’economia non avrà il dinamismo necessario per crescere vigorosamente, perché le grandi riforme (fiscale, amministrativa, politica, previdenziale, industriale e commerciale) devono ancora essere effettuate. Senza l’apertura economica o la liberalizzazione del commercio, sarà difficile per il Brasile ottenere un grande inserimento nell’economia globale.

Contatti Intervistato: Paulo Roberto de Almeida è Diplomatico, professore universitario (www.pralmeida.orgdiplomatizzando.blogspot.compralmeida@me.com). 

Traduzione del Portoghese brasiliano per Ruggero Gambacurta-Scopello.

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Desafios ao Brasil no novo contexto internacional de tensões geopolíticas 

 

Paulo Roberto de Almeida

Diplomata, professor

(www.pralmeida.org; diplomatizzando.blogspot.com)

Respostas a questões colocadas por Artur Ambrogi.

  

1. Como tradicionalmente o Brasil define seus interesses nacionais no cenário geopolítico por meio da diplomacia? E, como os governos mais recentes mantém ou rompem com essa tradição?

 

PRA: O processo de formulação de políticas nacionais e da implementação prática dos interesses nacionais no plano externo – regional e internacional – não é diferente, no Brasil, do que ocorre tradicionalmente nos demais países que possuem Estados funcionais, dotados de uma diplomacia atuante segundo os padrões usuais nas relações internacionais: parte-se da elite dominante no plano econômico, que geralmente define as elites dominantes no plano político, ou seja, os representantes desses setores no governo (Executivo e Legislativo, sobretudo), obtendo-se, a partir daí um mix de políticas macro e setoriais que correspondem não necessariamente aos interesses nacionais no sentido lato, mas aos interesses dos grupos dominantes na política nacional e no Estado (ou seja, as instituições funcionais do aparato de governo).

No caso do Brasil, à diferença dos demais países da região saídos do colonialismo ibérico, o país contou, ainda antes da independência, com instituições já montadas e funcionando razoavelmente a partir da transferência da corte portuguesa para o Rio de Janeiro em 1808, fugida da dominação napoleônica temporária na metrópole. Entre 1808 e 1821 todas as políticas aplicadas ao grande império colonial português foram formuladas no Rio de Janeiro, ainda que não necessariamente no interesse da sua maior colônia e dos seus habitantes. Mas, a constituição e funcionamento de um governo dotado dos ministérios típicos da época – entre eles Marinha, Guerra, Interior (Justiça) e Negócios Estrangeiros –, contribuiu enormemente para que, no momento da conquista da autonomia política nacional, em 1822, o governo brasileiro passasse a funcionar com ministros e funcionários que já estavam trabalhando desde a elevação do Brasil à categoria de “Reino Unido ao de Portugal”, o que foi feito em 1815, para fins da participação do Reino de Portugal no Congresso de Viena daquele ano. 

O primeiro chanceler brasileiro, José Bonifácio de Andrada e Silva, era, aliás, o primeiro brasileiro – ou súdito português nascido no Brasil – num gabinete português de governo provisório funcionando sob o comando do príncipe regente D. Pedro, filho do rei D. João VI, a partir do início de 1822. Ele assumiu uma política externa voltada decididamente para os interesses do Brasil, ainda que a diplomacia, pelo lado funcional e humano, fosse bastante precária, depois do retorno da corte a Portugal em 1821. Mas, essa primeira política externa brasileira foi descontinuada com o afastamento e exílio de José Bonifácio no final de 1823. A partir daí, a política externa de D. Pedro será, em parte, dominada pelos assuntos portugueses da sucessão e do regime político na antiga metrópole, até a abdicação do imperador em 1831. Nesse primeiro período, a política externa esteve parcialmente dominada pela Guerra da Cisplatina (o futuro Uruguai) e, em grande medida, pelas questões do tráfico e da escravidão, sob intensa pressão da potência da época, a Grã-Bretanha. A partir das regências (1831-1840) a política externa será mais americanista do que europeia, e tem início o recrutamento e treinamento do pessoal da diplomacia, necessariamente representantes da elite escravocrata e fundiária.

Na República oligárquica do final do século XIX e primeira metade do século XX, a política externa e a diplomacia serão dominadas pelos interesses das elites ligadas ao café – o Brasil era então, como ainda é, o maior produtor do mundo e exportador quase monopolista –, com alguns outros representantes dos demais setores agrários e das poucas indústrias existentes. A partir dos processos bismarckianos de modernização – industrialização, urbanização, democratização – desde a segunda metade do século, os interesses nacionais, na política interna e na política externa, serão dominados e expressos por um mix de elites atuantes na política nacional, crescentemente os industriais (muitos imigrantes), ainda os grandes proprietários de terras (sempre presentes em todas as etapas da história da nação), os militares (extremamente atuantes desde o final do Império e durante as várias fases da conturbada República) e outros setores das elites (grandes comerciantes, banqueiros, alta burocracia do Estado, entre eles a magistratura, quase uma elite aristocrática no serviço público brasileiro). 

Durante todo esse longo ciclo de progressos materiais e educacionais desde os anos 1930, são esses os interesses que definem o papel do Brasil no sistema mundial e na participação da política mundial, e uma única ideologia guia todos esses setores no plano interno e externa da governança brasileira: a ideologia do desenvolvimento, que significa a construção de uma economia de mercado propriamente nacional (daí o forte nacionalismo e mesmo introversão das políticas econômicas) e, no plano externo, a busca sempre presente de autonomia na política externa por meio de uma burocracia diplomática muito bem recrutada e treinada, pois que dispondo, desde 1946, de uma academia diplomática que detém o monopólio da seleção e formação de um pessoal de alta qualidade intelectual. 

No período recente, essas características se mantiveram quase que intactas, a despeito de pequenas rupturas de orientação durante os mandatos lulopetistas (2003-2016), em função das características parcialmente partidárias (de esquerda) de algumas orientações de política externa, e bem mais impactadas pela verdadeira ruptura introduzida pelo governo Bolsonaro (2019-2022), que correspondeu ao abandono parcial da busca dessa autonomia na política externa em troca de uma associação mal informada com os Estados Unidos – ou mais especificamente com o presidente Donald Trump – e de uma inversão em determinadas políticas (a ambiental, por exemplo), num completo desalinhamento com as orientações gerais da diplomacia profissional. Na fase atual, de retorno do PT ao poder (2023-2026), os interesses nacionais e a política externa vão continuar sob a influência da ideologia esquerdista do presidente Lula, mas num jogo de barganhas com as elites dominantes (econômicas e políticas) tradicionais.

Resumindo, os interesses nacionais brasileiros no plano externo continuarão a ser marcados por essa ideologia desenvolvimentista, pela busca de autonomia na economia e na política externa, com uma participação expressiva do corpo profissional de sua diplomacia na implementação das decisões do governo central, mas também por grandes hesitações na definição de alianças externas, o que se reflete num peso relativamente alto do país na economia mundial, mas por pequena participação nos processos decisórios em nível global.

 

2. Qual é a abordagem do Brasil em relação as questões de segurança e defesa na América Latina e no mundo? Os governos Bolsonaro e Lula possuem alguma semelhança nessa senda ou suas visões ideológicas antagônicas os colocam sempre em campos geopolíticos opostos?

 

PRA: Desde o início de uma diplomacia profissional moderna e consciente de si – nos tempos do Barão do Rio Branco, ao início do século XX –, o Brasil tem uma abordagem das questões de segurança e defesa apoiadas no respeito ao Direito Internacional e, crescentemente, no multilateralismo. A integração com a América Latina é um fenômeno relativamente recente, do último meio século apenas, e ainda não se traduziu em instituições estáveis e convergentes com os interesses nacionais do Brasil, mas uma postura seguidamente adotada pelos vários governos desde o final da Segunda Guerra Mundial é o do afastamento das tensões entre as grandes potências do mundo, uma posição de equilíbrio geralmente alinhada com os interesses do grande parceiro hemisférico, os Estados Unidos. Mais recentemente, a crescente preeminência econômica da China diluiu a influência dos interesses americanos na política brasileira, e a busca de uma autonomia ainda maior em relação aos Estados Unidos levou os governos do PT a proporem esquemas e mecanismos de consulta e coordenação regional distantes das antigas instituições hemisféricas (a OEA, por exemplo), em benefício da criação de novos instrumentos (Unasul, Celac) especificamente regionais, inclusive na área da defesa, como o CDS, Conselho de Defesa Sul-Americano, para a cooperação na área estratégica e militar com os países sul-americanos.

O governo Bolsonaro representou, justamente, uma ruptura com todas essas iniciativas, pois que significou o abandono dessa cooperação, em troca de uma ilusória aliança com os Estados Unidos (representados pelo presidente Trump exclusivamente) e de uma fantasmagórica coalizão de países conservadores de extrema-direita, supostamente em luta contra o fantasma do “globalismo” (o que no plano da diplomacia representou a oposição aos esquemas multilaterais, uma expressão de burrice extrema). A volta de um governo do PT ao poder permitirá a retomada das iniciativas do período 2003-2016, mas as próprias condições na América Latina se modificaram bastante, com uma fragmentação visível dos processos de integração, assim como a continuidade dos velhos padrões de inserção na economia global (especialização em commodities, por exemplo), o que representa perda de dinamismo e preservação da pobreza.

 

3. Como os diplomatas do Brasil lidam atualmente com as tensões geopolíticas em âmbito econômico nessa fase pós-governo Bolsonaro com o retorno de Lula à presidência (BID, OMC, pedido de ingresso na OCDE, afinidades e diferenças com países do Mercosul, Banco dos BRICS, etc.)?

 

PRA: Existem enormes desafios para a reinserção do Brasil no mundo, depois dos governos bastantes ativos na diplomacia, que foram justamente os de Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) e Lula-PT (2003-2016), e continuados com alguma dificuldade no governo Michel Temer (2016-2018), depois da grande crise deixada pela presidente Dilma Rousseff em 2014-2015. Ainda não se tem uma linha dominante nas políticas nacionais e na política externa, uma vez que as condições de atuação do Brasil no mundo foram bastantes alteradas pela desastrosa presidência Bolsonaro (sobretudo no terreno das políticas externas, basicamente a ambiental), mas também pela ruptura do governo Trump em relação à política global dos EUA. O atual governo do PT é a favor da retomada dos processos de integração regional, mas numa conjuntura de dispersão dos esforços e orientações díspares nos diversos países; ao mesmo tempo tem relutância com respeito ao ingresso na OCDE, que aparentemente representaria certo abandono das políticas econômicas nacionais em favor de mais inserção na globalização, o que é contraditório com a aspiração de ser chamado a desempenhar um papel mais ativo em instituições multilaterais (G20, CS-ONU) e no G7. A iniciativa de criação do BRIC, depois ampliado para BRICS (e novamente chamado a acolher novos membros), pode ter alguma influência na determinação da política externa do Brasil, pois que o grupo tem como seus membros as duas grandes autocracias anti-Ocidente, Rússia e China.

 

4. Como o Brasil de Lula lida com as sinalizações de reaproximação por parte das nações centrais do Ocidente como os Estados Unidos e os países da União Europeia?

 

PRA: Esse processo já estava em curso anteriormente, pois que o Brasil tinha “relações estratégicas” com todos esses parceiros, inclusive com a China, mas ele se tornou extremamente dependente dos caminhos tensos da nova geopolítica, desde o início da guerra de agressão da Rússia contra a Ucrânia, o que deve impactar na política de “equilíbrio” do Brasil em relação às grandes potências. Ainda é relativamente cedo para determinar como atuará a diplomacia do Brasil, em face das tensões crescentes criadas pela agressividade de Putin e também pela nova assertividade internacional do líder chinês Xi Jinping, especificamente em relação a Taiwan, mas também no campo da disputa hegemônica com os Estados Unidos, uma espécie de nova Guerra Fria econômica e tecnológica.

 

5. Como a nova diplomacia do Brasil tende a lidar com questões diplomáticas complexas, como a questão do Conselho de Segurança da ONU em tempos de tensões beligerantes, bem como as relações com sistemas políticos e econômicos tão distintos do seu próprio que buscam aproximação com o Brasil sob o discurso do advento de uma nova ordem internacional multipolar?

 

PRA: Como membro não permanente do CSNU, o Brasil continuará com sua tradicional demanda de reforma da Carta da ONU e de ampliação do CSNU, mas com escassas possibilidades de avanço nessa questão, dadas as tensões existentes atualmente. A demanda por uma “nova ordem internacional multilateral” também é irrealista, pois ela não se consolidará pela retórica dos grandes parceiros, mas apenas por mudanças substanciais nos grandes vetores de projeção de poder, que são sempre a capacitação econômica e militar, uma combinação de hard e soft power, e mecanismos de influência na agenda global por uma diplomacia sustentada em grandes alavancas de cooperação que só podem se apoiar em recursos abundantes. O Brasil carece de vários desses atributos, embora disponha de uma diplomacia de boa qualidade e alto capacidade de atuação; mas, os grandes problemas internos – extensão da pobreza, extrema desigualdade distributiva, baixa produtividade e escassa capacidade de inovação tecnológica – dificultam uma atuação mais afirmada do Brasil no teatro mundial.

Eventuais ganhos do Brasil nos cenários regional e global serão incrementais, e bastante lentos, pois que os desafios internos (econômicos, sociais e até no plano político, dada a falta de coesão atual entre as elites) são muito maiores do que as amplas oportunidades externas, baseadas no poder do seu agronegócio e no seu pequeno soft power, mais simbólico do que efetivo (a não ser na área ambiental).

 

6. A diplomacia brasileira tende a resgatar uma política de Estado em relação às questões de comércio exterior e do investimento internacional, incluindo a defesa de seus interesses econômicos estratégicos nos próximos anos?

 

PRA: Certamente, como sempre se fez, ainda que com mudanças de estilo e de prioridades, em função das preferências dos governos. O terceiro mandato de Lula deveria buscar essas políticas de Estado, mas os velhos cacoetes nacionalistas e intervencionistas vão tornar mais lento o processo de crescimento, do que seria o caso, por exemplo, via uma adesão afirmada a uma “agenda OCDE” de políticas econômicas e setoriais, que o PT aparentemente recusa. Da mesma forma, a retomada de qualquer “liderança” do Brasil em processos de integração na América do Sul e América Latina dependerá de sua capacitação econômica e propensão a uma abertura unilateral em favor dos países da região, o que também é improvável. Em resumo, os progressos serão lentos e entrecortados por decisões contraditórias, inclusive em função das próprias incertezas que cercam as relações internacionais numa conjuntura de acirramento da disputa entre o chamado Ocidente e as duas grandes autocracias.

 

7. O Brasil já atuou diversas vezes com a ONU para promover a paz e a estabilidade internacional, incluindo a proteção de refugiados e a participação militar e diplomática em missões de paz e negociação de conflitos. Nos últimos anos, o país deixou de adimplir com diversas obrigações perante organismos supranacionais e ainda não superou totalmente uma crise institucional interna, travada entre atores das forças armadas e autoridades civis, culminando na invasão e depredação das sedes dos três Poderes, em 8 de janeiro de 2023. É certo que o Brasil deve retornar como “player” ou ainda é muito cedo para se fazer tal prospecção de cenário?

 

PRA: A maior recessão da história econômica do país, em 2015-2016, deixou um enorme desafio para a recuperação do equilíbrio fiscal do país, assim como a demolição de muitas políticas setoriais durante a péssima gestão Bolsonaro, de 2019 a 2022, fragilizaram a capacidade do Brasil de atuar construtivamente em todas essas áreas, começando pelo fato de que ele tem enormes dívidas com os organismos multilaterais. O Brasil retomará como “player” em certas áreas – multilateralismo ambiental certamente –, mas terá dificuldades para recuperar um papel de líder em sua região, dadas as bases fracas de suas contas públicas. Por outro lado, a provável afirmação de uma “diplomacia presidencial” mais ativa também vai criar dificuldades para a diplomacia profissional, dada a impulsividade do presidente e seus equívocos de julgamento em determinadas questões (como a malograda ideia de um “clube da paz” para lidar com a guerra da Ucrânia, por exemplo). Lula tende a atuar mais em busca de maior promoção pessoal do que propriamente em função dos interesses permanentes do Brasil no cenário global. Trata-se de um método contraditório de atuação, pois que dependente de sua busca de prestígio internacional e mal orientado por certas obsessões do velho PT esquerdista, antiliberal e antiamericano.

O cenário interno ainda é difuso, inclusive por desconfianças recíprocas entre os militares e o atual governo, assim como dos temores dos chamados “mercados” em relação a uma política econômica populista – para atender à clientela tradicional do PT, os pobres, os sindicatos de trabalhadores, as minorias –, que poderia contaminar o equilíbrio das contas públicas nos próximos anos. O que parece certo é que a economia não terá o dinamismo necessário para crescer a taxas vigorosas, pois as grandes reformas (tributária, administrativa, política, previdenciária, indústria e comércio) ainda precisam ser feitas. Sem abertura econômica ou liberalização comercial dificilmente o Brasil realizará uma grande inserção na economia global.

 

 

Paulo Roberto de Almeida

Brasília, 4324: 17 fevereiro 2023, 7 p.

 

quinta-feira, 1 de novembro de 2018

Desafios externos ao Brasil no proximo governo - Uniceub, 5/11, 19h30


Mesa-redonda no Uniceub, 5/11, 19hs.
Desafios externos ao Brasil no próximo governo
05 de novembro, segunda-feira – 19h30
Local: Auditório do Bloco 3 do CEUB
Presidente
Renata Rosa, Coordenadora do Curso de Graduação em Relações Internacionais do CEUB.
Palestrantes
Paulo Roberto de Almeida
Felipe Scudeler Salto
Roberto Ellery
Debatedor
Fernando Lopes Ferraz Elias, Professor do Curso de Graduação em Relações Internacionais do CEUB.
Abaixo, Mini-CV fornecido pelos palestrantes:
Paulo Roberto de Almeida (São Paulo, 1949) é Doutor em Ciências Sociais (Université Libre de Bruxelles, 1984), Mestre em Planejamento Econômico (Universidade de Antuérpia, 1977), e diplomata de carreira desde 1977. Foi professor no Instituto Rio Branco e na Universidade de Brasília, diretor do Instituto Brasileiro de Relações Internacionais (IBRI) e, desde 2004, é professor de Economia Política no Programa de Pós-Graduação (Mestrado e Doutorado) em Direito no Centro Universitário de Brasília (Uniceub).
Como diplomata, serviu em diversos postos no exterior e na Secretaria de Estado. De janeiro de 2013 até outubro de 2015 foi Cônsul-Geral Adjunto do Brasil em Hartford, Connecticut. Desde 3/08/2016 é Diretor do Instituto de Pesquisa de Relações Internacionais (IPRI), da Fundação Alexandre de Gusmão (Funag), autarquia vinculada ao Ministério das Relações Exteriores.
Seleção de livros publicados: O Homem que Pensou o Brasil: trajetória intelectual de Roberto Campos (org.; Curitiba: Appris, 2017); Formação da diplomacia econômica no Brasil (2017; 2005; 2001); Nunca Antes na Diplomacia: a política externa brasileira em tempos não convencionais (2016; 2014).
Felipe Scudeler Salto
Economista pela FGV/EESP e mestre em administração pública e governo também pela FGV-SP. Foi consultor econômico, com foco em macroeconomia, contas públicas e contas externas, tendo atuado também na elaboração de projetos e pareceres sobre assuntos correlatos para empresas específicas (2008-2014). Entre 2015 e 2016, trabalhou na assessoria dos senadores José Serra e José Aníbal, atuando com assuntos econômicos e fiscais. Ministrou aulas nos cursos de pós-graduação lato sensu da FGV/EESP, na área de macroeconomia e macroeconomia brasileira. Publicou artigos na Folha de S. Paulo, no Valor Econômico e n’O Estado de S. Paulo. Em 2016, publicou o livro “Finanças públicas: da contabilidade criativa ao resgate da credibilidade”, pela Editora Record. Em novembro de 2016, foi indicado, sabatinado e aprovado em comissão e no plenário do Senado Federal para assumir a diretoria-executiva da recém-criada IFI – Instituição Fiscal Independente, cargo que ocupa atualmente. Em novembro de 2017, recebeu o Prêmio Jabuti, ao obter a primeira colocação na categoria de Economia, com o livro supracitado.
Roberto Ellery
Doutor em Economia pela UnB. Pesquisador do IPEA (1998-2002). Professor Associado do Departamento de Economia da UnB. Diretor da Faculdade de Economia, Administração, Contabilidade e Gestão de Políticas Públicas da UnB. (FACE/UnB, 2013 - 2017). Fez trabalhos de pesquisa junto ao Banco Mundial, BID, Banco Central e IPEA. Pesquisa na área de Crescimento Econômico, Ciclo de Negócios e Finanças Públicas.
Sugerimos aos palestrantes 20 minutos para apresentação de seus argumentos, seguida das considerações do debatedor e mais uma hora para a discussão das perguntas da assistência. O auditório dispõe de equipamentos para apresentações em PowerPoint, caso queiram utilizar esse recurso.
O Prof. Paulo Roberto de Almeida falará sobre a situação externa geral e os desafios brasileiros na política externa, por isso, serão muito bem-vindos comentários do Dr. Felipe Scudeler Salto sobre as contas públicas brasileiras e do Prof. Roberto Ellery sobre a produtividade brasileira, ambas também em perspectiva comparada.

terça-feira, 14 de junho de 2016

Grandes Desafios POLITICOS ao Brasil - minhas propostas - Paulo Roberto de Almeida

Acabo, finalmente de assistir ao primeiro evento que o ILCO, Instituto Liberal do Centro Oeste, organizou, com a minha modesta contribuição, em torno dos grandes desafios ao Brasil nos planos político e econômico.
No dia 12 de maio foi sobre política, com a participação minha e do professor Paulo Kramer, na mesa dirigida pelo Rafael Pavão, tal como registrado neste vídeo agora disponibilizado no cana YouTube do Uniceub: 

https://www.youtube.com/watch?v=3A3PJxsHLIU&feature=youtu.be

Seminário: Grandes Desafios ao Brasil: Política

16 visualizações
Publicado em 14 de jun de 2016
O UniCEUB sediou, nos dias 12 e 13 de maio, o seminário Grandes desafios ao Brasil: Política e Economia.
Nesse vídeo, que se refere ao dia 12, foi palestrado os principais problemas do Brasil no âmbito político, e sobre os ajustes e reformas necessárias para a construção de um futuro melhor para o país.

Abaixo, reproduzo o que eu havia anotado, antes, os argumentos a serem desenvolvidos oralmente na segunda parte da exposição, quando elaborei sobre minhas propostas reformistas (sem qualquer ilusão de que venham a ser implementadas).
Mais interessante ainda foram as perguntas e o debate posterior, mas para isso vocês precisam assistir ao video até o final.

Paulo Roberto de Almeida 
notas para a parte de Política: 


Caros amigos, professores, alunos, visitantes, curiosos, coxinhas e mortadelas,
Não nos enganemos: o Brasil não vai escapar de sua crise atual, a pior de toda a sua história, facilmente ou rapidamente. A derrocada econômica, sem precedentes em nosso itinerário de nação independente, é propriamente devastadora, em quase todas as dimensões dos principais indicadores macroeconômicos e variáveis microeconômicas, com a possível exceção, pelo menos até aqui, de um possível estrangulamento cambial, que foi o que tivemos em quase todas as crises econômicas e financeiras precedentes.
Mas o desmantelamento das instituições não é menos importante, pois o que caracterizou justamente a crise política atual foi a submissão do Legislativo à vontade do Executivo, e a chantagem do primeiro exercido contra o segundo, cada vez que se tratava de juntar os cacos da heteróclita coalizão partidária para a votação de alguma proposta executiva. O nosso famoso “presidencialismo de coalizão” transformou-se, nos últimos treze anos e meio, em presidencialismo de mensalão, e agora de petrolão, e sabe-se lá o que mais vai vir, dos desdobramentos da Operação Lava Jato.
Ambos processos, o descalabro econômico e o desmantelamento institucional, se agregam à mais degradante deterioração moral a que já assistimos em nossa história, uma derrocada espetacular que será difícil superar, inclusive porque a expulsão de ineptos e corruptos do poder não transforma, da noite para o dia, as mentalidades sedimentadas durante décadas na ideologia canhestra dos igualitários e dos supostos redentores da injustiça social do capitalismo. Ainda que essa tripla crise – econômica, política, moral – seja superada, pelo menos parcialmente, nada nos garante que os fundamentos ideológicos do estado mental que nos trouxe até a presente condição de anomia política, de fragmentação partidária e de desestruturação econômica possa ser substituída por concepções políticas e filosóficas mais consentâneas com um país menos dominado pelo Estado, dotado de maiores liberdades econômicas, e por um setor produtivo mais guiado pelas dinâmicas dos mercados livres do que regulado pelas diretivas de burocratas mal inspirados.

Deixando de lado, portanto, toda a deterioração moral, toda a corrupção política, todo o desmantelamento institucional que nos trouxe a esta situação de ruptura política, que é a interrupção de um mandato presidencial, e a ascensão de um novo titular ao maior cargo executivo de nossa estrutura constitucional, vamos nos concentrar no conjunto de tarefas que nos parecem relevantes para começar a lenta caminhada em direção de um país normal, neste caso, a consolidação de uma arquitetura democrática menos submetida ao arbítrio de velhos caciques ou de novos coronéis da política, e mais identificado ao que no mundo anglo-saxão se chama de rule of Law, ou, em nossa terminologia, o Estado de Direito.
Não é segredo para ninguém que o nosso sistema político se apresenta como uma democracia de baixa qualidade, aliás de baixíssima qualidade, com vícios que vão do velho patrimonialismo tradicional, ainda presente, ao novo coronelismo eletrônico, passando pelo clientelismo, pelo fisiologismo, pelo nepotismo e diversos outros ismos disseminados no interior de um dicionário de más políticas. Não se enganem tampouco com o parlamentarismo que pretendem implementar daqui até 2018: ainda que eu seja, instintivamente pelo menos, parlamentarista, não tenho nenhuma dúvida sobre o que ele significará numa primeira etapa de seu itinerário enquanto regime político e enquanto sistema de governo: a exacerbação de todos aqueles vícios, os péssimos ismos da vida política brasileira. Tardaremos algum tempo, talvez uma geração inteira ainda, para conseguir ter um sistema político compatível com nossas necessidades econômicas.

Eu me permitiria apontar os seguintes elementos de mudança política que estimo importantes para tornar o sistema democrático mais responsável, mais comprometido com a transparência, mais accountable, como se diz em inglês, que pode ser traduzido por algo próximo da responsabilização institucional. Descarto de imediato chamar essas medidas de reforma política, um conceito abstrato que apresenta diferentes significados para diferentes atores, sobretudo porque nenhuma proposta de reforma política abrangente, completa, unívoca, sistêmica, ou homogênea, será jamais suscetível de ser apreciada, votada e aprovada por um corpo político tão diverso quanto o nosso, em qualquer plano, socialmente, regionalmente, politicamente, filosoficamente. Melhor, assim, propor medidas tópicas que possam ir se somando para melhorar paulatinamente o sistema político-partidário e os regimes eleitorais. Eis as minhas treze medidas:  

1) Redução radical do peso do Estado na vida da nação, começando pela diminuição à metade do número de ministérios, com a redução ou eliminação concomitante de uma série de outras agências públicas;
2) Fim do Fundo Partidário e financiamento exclusivamente privado dos partidos políticos, como entidades de direito privado que são; fim da proibição, que certamente virá, do financiamento de empresas a campanhas eleitorais; e fim de qualquer tipo de financiamento público de campanhas; a população não pode pagar duplamente por um sistema político fundado sobre os impostos.
3) Extinção imediata de 50% de todos os cargos em comissão, em todos os níveis e em todas as esferas da administração pública, e designação imediata de uma comissão parlamentar, com participação dos órgãos de controle e de planejamento, para a extinção do maior volume possível dos restantes cargos, reduzindo-se ao mínimo necessário o provimento de cargos de livre nomeação; extinção do nepotismo cruzado;
4) Eliminação total de qualquer publicidade governamental que não motivada a fins imediatos de utilidade pública; extinção de órgãos públicos de comunicação com verba própria: a comunicação de temas de interesse público se fará pela própria estrutura da agência no âmbito das atividades-fim, sem qualquer possibilidade de existência de canais de comunicação oficiais;
5) Criação de uma comissão de âmbito nacional para estudar a extinção da estabilidade no setor público, com a preservação de alguns poucos setores em que tal condição funcional seja indispensável ao exercício de determinadas atribuições de interesse público relevante;
6) Reforma radical dos sistemas públicos de educação, nos três níveis, segundo critérios meritocráticos e de resultados; criação de uma carreira de professores de primeiro e de segundo grau, e de ensino técnico-profissional sem os vícios do isonomismo e da estabilidade, com requisitos de formação permanente;
7) Autonomia completa das universidades públicas, inclusive do ponto de vista orçamentário, com alguma alocação de recursos públicos para pesquisa e extensão, mas funcionamento de cursos com pagamento de mensalidades e bolsas de estudos, ou empréstimos educacionais; fim de isenções fiscais nas instituições privadas;
8) Início imediato de um processo de reforma profunda dos sistemas previdenciários (geral e do setor público), para a eliminação de privilégios e adequação do pagamento de benefícios a critérios atuariais de sustentabilidade intergeracional do sistema único; trata-se de condição indispensável para a solvabilidade futura de um sistema que terá quebrado três vezes antes que vocês possam se aposentar;
9) Reforma da Consolidação da Legislação do Trabalho, num sentido contratualista, e extinção imediata do Imposto Sindical e da unicidade sindical, conferindo liberdade às entidades associativas, sem quaisquer privilégios estatais para centrais sindicais; também se pode pensar na extinção, pura e simples, da Justiça do Trabalho, que é, ao contrário do que se pensa, criadora de conflitos trabalhistas, estimuladora de litígios, ou de maior litigiosidade no mercado de trabalho, impondo um enorme custo a todo o sistema produtivo e à própria máquina do Estado; a maior parte dos países recorre a sistemas arbitrais ou a varas especializadas do sistema judiciário, não a um caro, perdulário, inútil aparato trabalhista que penaliza a todos sem ganhos reais;
10) Reforma do Sistema Único de Saúde, de forma a eliminar gradualmente a ficção da gratuidade universal, com um sistema básico de atendimento coletivo e diferentes mecanismos de seguros de saúde baseados em critérios de mercado;
11) Revisão dos sistemas de segurança pública, incluindo o prisional-penitenciário, por meio de uma Comissão Nacional de especialistas do setor;
12) Privatização de todas as entidades públicas não vinculadas diretamente a uma prestação de serviço público sob responsabilidade exclusiva do setor público;
13) Revisão geral dos contratos e associações do setor público, nos três níveis da federação, com organizações não governamentais, que em princípio devem poder se sustentar com recursos próprios, não com repasses orçamentários oficiais.
 
Brasília, 11 de maio de 2016

Grandes Desafios ao Brasil: video da sessao sobre politica - Paulo Kramer e Paulo Roberto de Almeida

Presidida pelo membro do Instituto Liberal do Centro Oeste, Rafael de Pavão, organizamos, no dia 12 de maio, o mesmo dia da votação da admissibilidade do processo de impeachment da Afastada (que nome!) na Câmara dos Deputados, o primeiro de dois eventos realizados no Uniceub, sob o signo comum de:

"Desafios ao Brasil: Política e Economia"

sendo que este primeiro foi dedicado à Política, com a participação do cientista político, professor da UnB, assessor legislativo no Senado Federal e consultor político, Paulo Kramer, e minha própria, em substituição ao palestrante original, professor Carlos Pio, retido em São Paulo por razões familiares.
Foi uma excelente noite de exposições e debates, com o Auditório 1 do Uniceub completamente cheio, todas as cadeiras ocupadas, e espectadores infelizmente impedidos de assistir de maneira confortável.
Agora, com a disponibilidade do vídeo pelo Núcleo de Marketing Digital do Uniceub -- e aproveito para agradecer ao professor Roberto Lemos pela prestimosa ajuda -- podemos contemplar todos os que não puderam estar em Brasília ou, estando em Brasília, não conseguiram aceder ao auditório, ao disponibilizar este vídeo, que pode ser acessado neste link:

https://youtu.be/3A3PJxsHLIU

Aproveito para transcrever novamente a parte inicial de meu pronunciamento, lido de maneira imperfeita na minha exposição inicial, elaborado previamente ao evento, uma vez que ele expressa o estado de espírito sob o qual eu e Rafael Pavão concebemos e dirigimos estes dois eventos que deveriam marcar a passagem do Brasil a uma nova etapa de seu itinerário político e seu processo de desenvolvimento (ainda não é exatamente o caso) econômico.
Paulo Roberto de Almeida 


Desafios ao Brasil na política e na economia numa fase de transição

Paulo Roberto de Almeida
 [Notas compilando elementos de informação, para orientar debates na realização dos dois eventos no Uniceub, previstos para os dias 12 e 13 de maio] 
1ro. dia: Política
Por iniciativa do Instituto Liberal do Centro-Oeste, que encontra-se justamente comemorando dois anos de sua recriação em Brasília, a partir de um pequeno grupo anterior de adeptos incondicionais das liberdades econômicas e da mais ampla democracia política, e por sugestão do internacionalista Rafael de Pavão, aqui presente, com a minha colaboração acessória, estamos organizando duas noites de debates prospectivos sobre a situação atual do Brasil e sobre as tarefas à nossa frente.
Digo prospectivos porque a intenção é menos a de repisar os atrozes equívocos de política e de economia dos últimos treze anos e meio sob o signo do Nunca Antes, ou seja, a era dos companheiros, e bem mais examinar e discutir o conjunto de reformas postas à nossa frente, se de fato queremos que o Brasil se converta num país normal.
Digo “à nossa frente” porque não considero que as tarefas que precisam ser empreendidas para conquistar essa normalidade não incumbem tão somente, ou menos ainda exclusivamente, aos dirigentes executivos e aos representantes eleitos, mas também, e talvez essencialmente, à cidadania ativa, todos nós, coxinhas ou não, que saímos às ruas, nos últimos dois anos, para exigir não apenas o fim da corrupção, mas também o fim da impunidade.
Digo coxinhas, mas também poderia dizer mortadelas – se por acaso existem aqui, deve existir, partidários e apoiadores dos mortadelas, o que é totalmente legítimo do ponto de vista da democracia – embora eu não acredite que mesmo mortadelas possam apoiar a corrupção e a impunidade, ainda que eles possam apoiar, o que também é legítimo, o projeto político do partido e dos personagens que estiveram e estão envolvidos no mais gigantesco caso de corrupção jamais visto em nosso país, talvez no hemisfério, quem sabe no planeta.
O que justamente parece distinguir o Brasil de outros países deste nosso planetinha redondo (como disse alguém), que também exibem corrupção nos meios políticos e nos negócios empresariais, é precisamente o grau inaceitável de impunidade que sempre campeou entre nós, pelo menos até aqui, antes que a República de Curitiba começasse a colocar um fim a essa sensação de desesperança ao ver tantos Malufs da vida pública escapar sorridentes entre as malhas da lei. E se me refiro ao Maluf, um político na lista da Interpol, é porque ele se tinha convertido numa espécie de modelo, um benchmark, como se diz na linguagem das comparações de mercado, um exemplo do famoso “rouba mas faz”, embora não tenha feito grande coisa e tenha sido amplamente superado desde então: já se disse que, na escala atual, ele não passa de um reles trombadinha de periferia, ultrapassado que foi por poderes mais altos que no horizonte despontaram. E como...
Disse também que queremos que o Brasil se converta em um país “normal”, pois não considero que seja normal viver no país da meia entrada, do foro privilegiado, do “dez vezes sem juros”, o que não existe em nenhum outro país do mundo, não, pelo menos, nos países normais. Foi com esses objetivos que concebemos e montamos estes dois seminários, que pretendem oferecer algumas indicações sobre essas tarefas e sobre as dificuldades imensas à frente.

Vamos agora iniciar nossos debates; convido o professor Paulo Kramer, meu xará, querido amigo, grande especialista em temas políticos e profundo conhecedor da política brasileira, a fazer sua exposição, com tempo de 20 minutos e tolerância de mais 5 minutos, inapelavelmente, pois o microfone desligará automaticamente.
(...)
Paulo Roberto de Almeida
Brasília, 5 maio 2016, 5 p.